Francesco terzo

Che la figura di Francesco d’Assisi, il suo abbraccio alle creature, a Chiara, al lebbroso possano essere inscritti nel gesto dell’amor cortese è quanto ho cercato di mostrare nella paginetta precedente. Ma è anche quanto la critica più recente ha trovato.

Riprendendo il filo biografico, Francesco cresce in ossequio agli ideali paterni e si rivelerà un punto di riferimento per la vita giovanile assisense.
Svilupperà una grande sensibilità ed una ricca vita di sentimento.
Intorno ai 21 anni vivrà una esperienza di reclusione, prigioniero di guerra a Perugia, lo vedremo meditabondo, ma incredibilmente sereno, dispensatore di fiducia e perfino di umorismo presso i compagni. Dopo i 21 anni cercherà di misurarsi con una impresa cavalleresca, ma non ha il talento di Parsifal e dopo pochi giorni rientra a casa tra l’ilarità generale.
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Matura in segreto una conversione accettando di leggere il suo destino in incontri significativi. Dal mendicante prima scacciato in malo modo dalla bottega del padre e poi inseguito per strada e ricolmato di offerte quasi eccessive, al bacio al lebbroso.

Appena maturano i frutti esistenziali di questa conversione, Francesco vuole lasciare la strada tracciata dal padre per lui e la vivace reazione del padre non si fa attendere.

Forte di un diritto romano che gli conferisce tale potere, Pietro trascina il figlio ventiquattrenne in tribunale ingiungendogli la restituzione di ogni bene e la rinuncia al suo diritto patrimoniale.

L’immagine che vorrei offrire alla contemplazione è quella del giovane Francesco che si denuda davanti al padre rendendogli gli abiti che indossa e proferendo una memorabile sentenza.
Un Padre subentra ad un padre. Un altro Pietro subentrerà al posto di Pietro Bernardone: il Vescovo che lo ricopre col suo mantello e lo accoglie nella chiesa di Pietro, tutta da ristrutturare.
Particolare forse da mantenere nella memoria nel momento in cui, par la prima volta, sul seggio di Pietro (la poltrona papale) siede un uomo che scelga per la prima volta il nome di Francesco.

Ma proseguiamo il filo del racconto di Ernesto Balducci.

Da qualche mese Francesco viveva fuori le mura, come un “sepolto vivo”. “Finché un giorno, infuocato di entusiasmo lasciò la caverna e si mise in cammino verso Assisi, vivace, lesto e gaio…. Al primo vederlo, quelli che lo conoscevano com’era prima presero ad insultarlo, gridando che era un pazzo e un insensato, gettandogli fango e sassi”. La gazzarra giunse agli orecchi del padre che, rintracciato il figlio, lo trascinò a casa e lo “rinchiuse in un bugigattolo oscuro, facendo di tutto, a parole e a botte per ricondurlo alla vanità mondana”. Complice la madre, che probabilmente lo persuase a portare con sé un gruzzolo di denaro, Francesco riuscì a fuggire dalla prigione domestica e allora il padre fece come fa ogni galantuomo: ricorse alla legge, cioè al collegio dei consoli che riuniva in sé tutti i poteri anche quello giudiziario. “I consoli…. Mandarono al giovane mandato di comparizione” con l’imputazione di aver preso denaro in casa. Francesco, per esprimermi con il linguaggio oggi invalso, fece obiezione di coscienza:

….Rispose all’araldo di essere libero, per grazia di Dio, e di non essere più sotto la giurisdizione dei consoli, dal momento che era servo del solo Dio altissimo. Non volendo ricorrere alla violenza i consoli dissero a Pietro: “Dato che tuo figlio si è consacrato al servizio di Dio non è più sotto la nostra giurisdizione”

Bernardone non si dette per vinto: fece ricorso all’altra magistratura, quella ecclesiastica. Il vescovo, Guido, “persona discreta e saggia”, chiamò Francesco e benevolmente lo esortò a restituire al padre i soldi che aveva con sé: “oltre tutto, soggiunse il buon prelato, ricchezza forse di mal acquisto”. Cogliendo l’occasione per regolare definitivamente il contrasto, Francesco andò ben oltre i suggerimenti del vescovo: si ritirò in una camera attigua alla sala episcopale, “si spogliò completamente” (anche delle mutande, precisa il Celano) depose sui vestiti il gruzzolo e, mostrandosi in questa foggia inconsueta di fronte al vescovo, al padre e agli astanti disse:

Ascoltate tutti e cercate di capirmi. Finora ho chiamato Pietro di Bernardone padre mio. Ma dal momento che ho deciso di servire Dio, gli rendo il denaro che tanto lo tormenta e tutti gli indumenti avuti da lui. D’ora in poi voglio dire: ‘Padre nostro che sei nei cieli’, non più ‘padre mio Pietro di Bernardone’”.

Il vescovo considerando attentamente l’uomo santo e ammirando tanto slancio e intrepidezza, aprì le braccia e lo coprì con il suo mantello.

porta 5 LNDirei che occorra decifrare la cifra di questo abbraccio per misurare tutta la complessità del gesto del Vescovo nei confronti del figlio “denudato”. L’abbraccio singolare tra Pietro e Giovanni di cui ho indicato qualcosa nella prima di queste paginette.
Ma è questo che è bello lasciare alla meditazione e all’intuizione immaginativa di ciascuno.

 

Ringrazio di cuore Laura Novel per le suggestive fotografie prese dal suo album “La porta del futuro” che mi appaiono straordinariamente efficaci per significare alla sensibilità contemporanea la vocazione francescana ad abitare l’inabitabile. Che sia questa la porta del futuro?

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