I libri son figli

Francesco Pazienza e Simona Calabresi

Come qualche lettore impaziente ma intraprendente avrà già scoperto da solo, da circa una settimana è comparso un banner in alto a destra, sulla testata del sito. Offre la possibilità di sapere di più del mio libro.
L’ultimo ma anche il primo.
Un libro che difficilmente arriverà alle librerie. Difficilmente alla vostra, se ne avete una. Comunque potete provarci. Magari funziona. I librai qualche volta sono cappellai magici.
Di certo, snobbato dalla grande distribuzione, il mio libro prende rifugio presso una forma di distribuzione ancora più grande.
Quella “globale”. Amazon, il commerciante forse più ricco del mondo. IBS che trotterella nel nostro paese e il sito stesso dell’editore, IPOC. Un singolare editore che inverte le dinamiche della globalizzazione.
Tutti si servono di mano d’opera nei paesi poveri. I libri di IPOC si stampano in Inghilterra e ci arrivano freschi di giornata attraversando la Manica.

Ma spero di non essere accusato di spam se parlo ancora del mio libro.
Mi limito pertanto a poche notizie succinte che lo riguardano.
In questo momento non saprei di che altro parlare!

C’è stata la presentazione a Book City e non credo di esagerare se dico che è stato per me un balsamico bagno di folla a cui da molto non ero più abituato. Non mi “monto la testa” perché ho ancora in bocca il sapore amaro di anni di solitudine e mesi di impopolarità.

Molti amici lettori lo sanno già (o per altri non sarà stato così) ma per me pubblicare un libro è stato qualcosa di simile a ciò che immagino sia il mettere al mondo un figlio.
Qualunque signora ci mette nove mesi.
Il signorino ci ha messo quindici anni.
Ma forse proprio per questo vivo questo parto con grande intensità.

Non avrei previsto un impatto così forte sulla mia anima traballante.
La cosa che ho trovato più curiosa è quella che sto per raccontarvi.
Nello scorso fine settimana ho portato il mio libro in tre bazar di Natale, in tre mercatini dell’Avvento presso le scuole steineriane a me più vicine.

L’ho portato a Lugano e in due scuole di Milano con cui ho avuto la reazione più stretta. Ne ho spedito qualche copia anche ad Oriago (Venezia), Reggio Emilia e Barzanò, nella Brianza operosa e a me tanto cara.

Pur senza altre presentazioni formali, che prevedo nell’anno nuovo, verso primavera, da tutti ho ricevuto accoglienza attenta e affettuosa. Un buon ristoro.
Anche per questo non mi monto la testa. Ho lavorato sodo nei quindici anni in cui il libro si è compiuto.

Ma la cosa curiosa sta nel fatto che, finché ho insegnato, o fatto comunque formazione per genitori ed insegnanti in quelle scuole, confesso spudoratamente di aver fuggito i bazar come qualcosa di insostenibile! In analoghe occasioni di incontro sociale la mia testolina andava in confusione in mezzo a tante persone. Troppi cuori, troppi destini a incrociarsi: troppo di tutto. È una espressione che sovente mi si affaccia alla mente, al cuore e approda alla lingua.

È nata allora in me questa immagine.
Quello che non si fa per sé stessi, a volte, i genitori lo sanno bene, lo si fa per i figli.
Strana cosa, oltre i sessant’anni, il primo libro. Che vivo come il primo dei figli che la natura, malgrado lo desiderassi, non mi ha dato mai.
Mi ha dato altro. Non si può aver tutto.
Ma questo figlio/libro oggi mi sta davvero sorprendendo.
Fa emergere in me un genitore premuroso che non immaginavo di avere in me.
Mi sento un padre affettuoso e poco ansioso.
Non diventerò né ricco né famoso.
Ma è stato bello girare per bazar i giorni scorsi ed inseguire le tracce dei miei possibili lettori.

Un’ultima cosa mi è apparsa singolare, con questa ho concluso la presentazione a Book City e con questa mi congedo anche qui.
C’è un curioso destino per l’autore di un libro.
Un libro, appena partorito viene immediatamente depistato in adozioni molteplici.
Quelle che, si spera, opererà il lettore.
Così mi trovo ad offrirvi in adozione il mio bambino.
Se lo fate, ve ne prego, accoglietelo bene, allevatelo con cura. Guardatelo con la stessa compassione con cui lo guardo io e ve lo presento.

In vita mia non ho avuto, né adottato figli. Sono stato rifiutato come possibile genitore adottivo da tribunali che considero sempre una delle più alte istituzioni della società civile.
Ho sofferto molto per questo ma anche la sofferenza può dar buoni frutti.
In compenso ho adottato un cane che oramai ha quindici anni.
È vecchierello come me.
Ricordo che, come avviene nei canili civili, in caso di adozione di un cane, qualcuno dopo qualche settimana, viene a controllare che il cane stia bene. Che qualcuno non l’abbia affettato.
Attenzione, farò così anche con voi, se vorrete adottare il mio libro!

Quando adottai il mio Dog, dopo qualche settimana, venne a trovarmi, per questa verifica, quella che affettuosamente chiamo ancora la zia Simo, l’architetto Simona Calabresi che era presente in sala alla presentazione e ritratta con me nell’immagine di copertina. La foto di copertina ci ritrae insieme grazie alle mani gentili dell’amico fotografo Roberto Tani (Moscow).
Simona e suo marito Diego Colombo (ai legni), diventati presto cari amici, sono stati poi coloro che hanno radicalmente ristrutturato la mia casa, dopo la morte di mia madre.
Così, ancora oggi mi capita, guardandomi intorno in casa, di pensare che se non avessi adottato quel cane la mia casa avrebbe un aspetto diverso.
Per questo, con zia Simo e zio Diego abbiamo sempre riservato al nostro Dog l’epiteto di Grande Architetto.
Ecco un suo ritratto con il muso appoggiato alla planimetria inerente ai lavori di ristrutturazione della casa.
Onore al grande architetto e attenzione!
Un figlio ma anche un libro, se non la vita, può cambiare molto intorno a noi.

Ed ora possiamo sprofondarci nelle spirali dell’Avvento.
Il vero Bambino deve ancora arrivare.

Dog

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