La consegna delle chiavi di casa (psicologia dei 21 anni)

Psicologia dei 21 anni

(Immagine di copertina e foto a cura di Roberto Tani)

Riprendiamo la nostra traversata, continuiamo ad esplorare le tappe delle successive “battaglie per la conquista dell’individualità” nella biografia umana.
Ci occuperemo ora della battaglia dei 21 anni.
Nel precedente articolo mi sono occupato dei 18 anni e, coerentemente con l’attuale sistema giuridico, ho descritto l’assunzione di quel che chiamiamo comunemente la personalità giuridica. Si diventa maggiorenni e responsabili di sé stessi nella società civile.

“…e responsabili di sé stessi…”

Si dà il caso però che chi scrive, oltre a tutti i coetanei e le persone di età maggiore, abbiano conseguito la maggiore età non a 18 ma a 21 anni.
Cosa significa e che valore può avere questo cambiamento sopraggiunto nel sistema giuridico?
Beh, non è difficile intuirlo. In questi decenni, negli ultimi cinquant’anni si sta assistendo ad una vistosa tendenza ad anticipare le tappe.
Gli individui, nella presunta evoluzione della specie, fanno esperienze sempre più precoci e sono ansiosi di farle. Addirittura c’è chi pensa di poter accelerare ancora. Si è parlato di patente a 16 anni e via di questo passo.

 

Anticipazioni, accelerazioni

I nostri ragazzi aspirano al ruolo di adulti sempre più precocemente. Ansiosamente.
D’altro canto il sistema scolastico tende ad accelerare anche l’apprendimento e a renderlo sempre più intellettualistico.
Diventiamo sempre più “intelligenti” o, semplicemente, siamo presi tutti in una frenesia collettiva che difficilmente riesce a dissimulare la sua motivazione economica.
Ci sono ottime ragioni economiche per farlo. Firmare assegni o stipulare contratti dai 18 e non più dai 21 anni appare conveniente all’incremento del PIL.
Abbiamo consumatori sempre più giovani. Fette di mercato nuove, emergenti. Ed è sotto gli occhi di tutti come il mercato indirizzato ai giovani sia vivace e redditizio.

Ma se interroghiamo la carne, l’organismo umano nella sua plasmazione e riproduzione, scopriamo qualcosa di leggermente diverso.
Il compimento della fisionomia, la plasmazione delle dimensioni del corpo impiega una ventina d’anni. Occorre che l’organismo compia per la terza volta la completa rigenerazione della carne cui ho accennato negli articoli precedenti.

 

Il compimento della crescita

Dopo che l’organismo ha ricreato, per tre volte e da sé, la sostanza della sua carne, intorno ai vent’anni la crescita si arresta, la fisionomia diventa definitiva.
Come ogni medaglia ha il suo rovescio, si potrebbe dire che si incomincia ad invecchiare.
Si, il frutto è maturo e quando un frutto è maturo, nella natura vegetale, comincia a virare verso la marcescenza.
Ma il frutto umano ha invece peculiarità differenti. La maturità umana ha tempi molto più lunghi. Come per la sua genesi ed evoluzione, del resto.

Ma concludendo questa parte di riflessione indicherei due cose importanti.

La prima è che c’è una grande differenza tra una fioritura (possiamo percepirla intono ai diciott’anni, l’ho descritta nel precedente articolo) e la fruttificazione, la piena maturazione che sto descrivendo intorno ai 20 anni al compimento del terzo settennio.

La seconda è che se il “vento” che soffia dall’economia, tende ad anticipare le tappe, un altro vento, quello dello sviluppo psicologico, forse in modo organico e coerente, tende ad allungare il processo, proprio come reazione di difesa dell’Io umano.

“…un altro vento, quello dello sviluppo psicologico…”

Questo merita più riflessione.
Non si tratta solo di frenesia consumistica da un lato e di epoca del “bamboccioni” dall’altro. Espressione, quest’ultima, coniata da un ministro dell’economia di qualche governo fa.
Si tratta di una reazione legata alla felice elasticità dell’organismo umano. Una sorta di compensazione, coerente in sé stessa.

 

L’elastico che bilancia accelerazione e rallentamento

E così abbiamo consumatori sempre più giovani, consumatori in erba e fiori, ma una maturità che si consegue sempre più faticosamente e sempre più tardi. Si protrae ben oltre i fatidici 21 anni.

È risaputo che, soprattutto nella parte di Europa che abitiamo, negli ultimi decenni, i figli tendono a restare a carico della famiglia fino ai dintorni dei trent’anni. Sono dati statistici. E non credo questo abbia solo motivi economici. Non è solo perché è sempre più difficile trovar casa e lavoro. Sento il profumo di altri motivi, procediamo con ordine.

Per un verso la spinta economica si avventa sul germoglio fiorito dell’Io umano. Gli amici che studiano l’Antroposofia vi riconosceranno l’impulso di Arimane. Il demone descritto da Goethe nel suo Faust. Il demone che subentra e “duetta” con Lucifero. Quello della mela mangiata nella scena della Genesi.

 

Fiori, frutti e infine… appartamenti.

A diciott’anni si è in fiore ma il frutto matura un poco più tardi.
Il frutto, la cosiddetta maturità esistenziale, l’adultità, la fine del compimento fisiologico può essere pensata come la consegna di un appartamento ad un proprietario, ad un abitante.
La casa più umana, lo sappiamo tutti è il corpo.
Il corpo come tempio in cui dimora l’individualità umana.
La cosa più sacra.
E il processo, il ritualismo del caso, a me piace indicarlo come la simbolica consegna delle chiavi di casa.

È uno dei momenti più delicati dello sviluppo dell’individuo.
Appena ci consegnano le chiavi dell’appartamento posso sorgere le reazioni emotive più differenti. Spesso di grande intensità.
C’è sempre qualcuno che trova adatto o meno a sé stesso l’appartamento finalmente consegnato.
Il nostro corpo è la giusta dimora?
Ci appare come un tempio o come una stamberga? Volevamo un grattacielo o una casa di campagna…
Lo troviamo adatto alle nostre necessità?

 

Arci-contenti/Arci-scontenti

Sappiamo che nella tipologia psicologica umana, per chi ne ha esperienza e la passione di osservare, vediamo scenette tipiche e ricorrenti.
Chi si entusiasma immediatamente e chi la trova assolutamente, sistematicamente inadeguata. Dopo 20 anni mi aspettavo qualcosa di diverso!

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“Dopo 20 anni mi aspettavo qualcosa di diverso!”

Oppure ci si entusiasma subito ma ben presto le magagne saltano all’occhio e l’entusiasmo diventa tutt’altro.
C’è qui un campo infinito di possibili osservazioni. Se abbiamo voglia di farlo, soprattutto per noi stessi, può essere prezioso.

Io concluderei con una vena di umorismo che, a mio vedere, è sempre un ottimo condimento per le cose più serie.

“Se non sappiamo sorridere…”

Se non sappiamo sorridere, se non ci concediamo questo sacrosanto distacco dalle cose più serie, non diventiamo “seri”, ma solo “seriosi”.

Sor Pampurio

 

Quando ero bambino mi proponevano storielle in rima baciata. I fumetti sono arrivati un poco più tardi e risultavano comunque sospetti, nella casa di un dottore.
Mi proponevano figurine illustrate e commentate in rima del “Corriere dei Piccoli”.
Uno dei personaggi più popolari era Sor Pampurio. [1]

Sor Pampurio era diventata, in quegli anni espressione proverbiale di una instabilità emotiva, tipica della nascente società dei consumi che portava l’individuo a entusiasmarsi per una nuova soluzione.
Immediatamente però faceva seguito la delusione e l’invettiva per i limiti, gli aspetti negativi presto percepiti nella nuova scelta.
Era così, in periodi differenti della riproposizione delle storie, per l’appartamento ma anche il personale di servizio o il luogo di villeggiatura. Una variante della “Smanie per la villeggiatura”.
Forse, in qualche modo, molti di noi, ancora oggi possono riconoscersi in quella instabilità emotiva così caratteristica della nostra epoca.

 

Luce solare / Luce fosforica

Instabilità emblematica della svolta dei 21 anni.
Ogni cosa ci appare possibile, in linea di principio.
Il miraggio della libertà ci abbaglia col suo scintillio.  Ma quella luce fosforica del desiderio (Luci-fero) non è quella che ci serve per la realizzazione di noi stessi.
Per questa occorre la luce solare. La luce del fosforo, quella dei fuochi fatui, non scalda e non illumina il cammino.

 

La respirazione tra il comico e il tragico

Coerentemente con il metodo suggerito agli insegnati di adolescenti nelle scuole Waldorf, cerco di bilanciare sapientemente, senso dell’umorismo e senso del tragico.
La consegna delle chiavi di casa, del tempio dell’individualità può essere un momento difficile per l’accettazione del proprio destino.
Innamorarsi dell’involucro o sputarlo fuori come un boccone dal sapore disgustoso, oppure aver sempre bisogno di aggiungere zucchero, sale, pepe ad ogni pietanza…. Tutto è così umano… troppo umano!

 

Angoscia, figlia di Libertà

Ma, mi piace concludere ricordando che umana, troppo umana è l’ombra di angoscia che appare inevitabilmente proiettata dall’idea della libertà.
Ho sempre insegnato ai liceali, nell’ora di libera religione, ma anche quotidianamente ai pazienti, che l’assunzione di responsabilità non va senza la dovuta dose di angoscia.
La nuova coscienza che si manifesta nello splendore della Bhagavad Gita, ci viene indicato da subito comporta l’ombra dell’angoscia di Arjuna.
Scegliere costa angoscia.
L’angoscia è un prodotto secondario in cui inevitabilmente ci si imbatte nel cammino verso la libertà.
Per questo l’angoscia di Arjuna è la prima crisi di “angoscia moderna” sperimentata dall’animo umano. Antica quanto l’idea di libertà.
È questo nucleo tragico che la comica di Sor Pampurio mira ad esorcizzare.

 

[1] La trattazione completa della saga pampuriana si trova nell’articolo di Giulio C. Cuccolini Carlo Bisi, sociologo a quadretti, e il borghesissimo Pampurio, nel volume “Un maestro dell’ironia borghese”.

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