Pensare a mangiare (psicologia della dieta, fisiologia del digiuno)

Psicologia della dieta

So che parlando di dieta tocco qualcosa che interessa a molti. Perché?
Ovviamente perché  mangiamo troppo. E da troppo tempo.
Quando “ci mettiamo in dieta” comunque, pensiamo solo a mangiare.
Credo che mangiassimo troppo già dal fondo degli anni 50, almeno nella nostra famiglia. Risparmio considerazioni ulteriori facilmente convenzionali e scontate. Luoghi comuni ormai.

Ma se mangiamo troppo, semplicemente dovremmo mangiare di meno.
Ma mangiare di meno non è facile, in mezzo a tanta abbondanza.
Ci si prova con  l’anoressia, ma è meglio non provarci. Non essere indotti in tentazione.

Se il buon senso non bastasse, ci si mette la scienza che raccomanda una alimentazione variata e completa. Termini già scivolosi.
Le vie dell’inferno son lastricate di buone intenzioni.
E il variato e completo è soggetto a molte declinazioni. Troppe.

Ho dichiarato di aver “consumato” un buon numero di ideologie nel secolo delle ideologie: il Novecento.
E così oltre alle ideologie ispirate al Marxismo, Psicanalisi, Antroposofia e altro, ho “consumato” diversi tipi di altre diete. Associazioni alimentari, macrobiotica, vegetarianesimo. Poi la rivoluzione degli indici glicemici: dieta a zona, e qualche altra che non ricordo. Ce ne sono troppe!

La conclusione che tiro è azzardata e sicuramente dispiacerà a qualcuno.
Credo che la dieta ci faccia pensare sempre a cosa, come, quanto e quando mangiare.
Chi segue una dieta facilmente pensa troppo al cibo.

Credo che già il fatto di pensare al cibo faccia ingrassare.
Si, quasi un riverbero paradossale del Discorso Della Montagna:

“Chiunque guarda una donna per desiderarla,
ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”
Matteo, 5, 28.

E, soprattutto…. di non solo pane vive l’uomo. (Matteo 4.4). Frase profferita dopo quaranta giorni di digiuno nel deserto. Il nostro Eroe ha resistito alla tentazione di trasformare le pietre in pane. Ci ha pensato poi la Rivoluzione Industriale a trasformare le pietre in pane. E noi che faremmo? .
Ma anche quella storia della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Vien da pensare che  più che di moltiplicazione del cibo si possa considerare la diluizione della fame nervosa. Così pochi pani e pochi pesci bastano per tutti! Basta mangiar meno! Ma comunque… di non solo pane…!

E questo è davvero rivoluzionario perché invece, la macrobiotica ha come punto di partenza l’affermazione che siamo quel che mangiamo. Giusto considerare la qualità del carburante, ma forse non c’è solo quello. I pensieri e i desideri di un vegetariano possono essere differenti da quelli di un carnivoro ma non è detto che mettere un cuoco vedano, vegetariano o macrobiotico in un carcere sia sufficiente a trasformare la popolazione in galantuomini.

Siamo quel che mangiamo?

Non siamo solo ciò che mangiamo! Per fortuna. Non diventiamo carote, carne di coniglio o di maiale. Anche se siamo cocomeri, zucche e zucchine. Teste di cavolo o di rapa.

E credo che pensare a mangiare non vada senza desiderio. E sia già peccare nel cuore! L’esercizio della mia professione me lo insegna.
Pensiero, sentimento, desiderio, volontà… sono termini difficili da distinguere. Come cuore e pancia. Si fa presto a dire testa o cuore. Ma quando pensiamo a cuore, spesso intendiamo pancia.

È la scivolosità del linguaggio. Che rispecchia quella del corpo, forse.
Meglio essere prudenti e, nel limite di quel che riusciamo, provarci a tacere.

Tacere/Ascoltare

Anche se il desiderio di tacere spesso genera una incredibile proliferazione verbale.
Ma il contrario di pensare/parlare non è solo tacere.
Forse il contrario più potente è ascoltare.
E il contrario di mangiare è digiunare.
Forse un attimo di digiuno è un momento di ascolto.

Ascolto del silenzio.
Il silenzio del corpo.
Nel pacco-dono del silenzio ho trovato anche questo.
Questa ennesima declinazione del sublime Non-fare che non è solo o non è affatto l’accidia.
È accogliere il dono del silenzio.

Così a quella cosa (che poi non sappiamo bene cos’è) è meglio pensarci un po’ meno. Se ci si riesce.  E in questo le diete non aiutano.

Inchiodano il pensiero al cibo. La mente all’alimentazione e questo, misticismo macrobiotico permettendo, non mi pare una buona cosa.

Siamo abituati a pensare di godere del pasto e a soffrire il digiuno. Come godere di parlare e soffrire di ascoltare.
È vero, ascoltare non è facile. Bisogna provare a farsi da parte.
Farsi da parte per accogliere il dono del silenzio del corpo.
Digiunare un po’ permette al silenzio del corpo di farsi ascoltare.
Per quel poco che ci abbia provato mi pare che ne valga la pena.
Il silenzio del corpo ha molto da raccontare di noi.


Ho tagliato molto da questa pagina quindi presumo di riprenderla presto.
Vi lascio con l’indicazione di un vecchio libro. Tra gli elzeviri di Ceronetti è la raccolta che amo di più. Titola appunto “Il silenzio del corpo”. Per quelli che nella valigia delle vacanze ci mettono libri.

Quando ho esordito dicendo che questa pagina avrà una conclusione azzardata che dispiacerà a molti, pensavo anche a qualcuno. Pensavo ad una amica alimentarista che frequenta la nostra stanza di meditazione del martedì.
Ne riparleremo con lei martedì.
Ma come fare, se passiamo gran parte del tempo in silenzio?
Venite e vedrete!
Oppure ve lo racconterò presto!

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